SPORT Donne crescono, anche nello sport

La Nazionale femminile di volley (Foto Fipav) e Chiara Cainero campionessa europea nel tiro a volo (Foto Fitav)

Negli ultimi 40 anni il boom delle campionesse ha accompagnato in Italia l'emancipazione della donna

Per il Barone de Coubertin le donne non erano adatte alla pratica sportiva, per una questione fisica e per il loro ruolo nella società. Pensieri dell’altro secolo, utili però a ricordare da dove è partita la lenta ma inesorabile rimonta della donna, e quanto sia stato difficile e irto di difficoltà il cammino. All’Olimpiade di Londra 2012, ma de Coubertin non era più nella condizione di dolersene, il 45 per cento degli atleti era di sesso femminile.
    Non solo: per la prima volta ogni Paese partecipante ha iscritto almeno una donna, anche quelle nazioni islamiche riottose a concedere pari dignità e possibilità alla popolazione femminile.
    La prima medaglia d’oro olimpica di una donna italiana porta la firma di Ondina Valla, una specie di mito per lo sport al femminile: ai Giochi di Berlino 1936 vinse gli 80 ostacoli. Ma tanti anni ancora, non meno di tre decenni, sarebbero dovuti passare perché lo sport anche in Italia si avviasse ad essere davvero per tutti e non solo per tutti gli uomini. Ancora alla fine degli anni Sessanta, come testimoniavano gli album delle figurine Panini dedicati ai Campioni dello sport, le donne a far compagnia alla schermidrice Antonella Ragno, alla mezzofondista Paola Pigni e alla nuotatrice Novella Calligaris, erano davvero poche.
    Con la Ragno, la Pigni e la Calligaris, l’Italia scoprì che c’erano ragazze azzurre in grado di competere per le medaglie con quelle maschiacce dei Paesi dell’Est.
    Le nostre, insomma, non sono mai state dei maschiacci, ed anzi lo sport italiano al femminile si è imposto sempre più anche per merito delle qualità a 360 gradi di molte campionesse, capaci di vincere senza rinunciare alla loro femminilità. Se Sara Simeoni è stata a lungo il simbolo della donna italiana vincente nello sport, anno dopo anno la figura femminile si è conquistata una valenza che è andata crescendo parallelamente anche nel sociale.
    Ma nello sport le quote rosa non sono frutto di operazioni mediatiche o compromessi politici. Lo sport ha esaltato le donne con la meritocrazia. Le tante campionesse sulla neve, la leggenda senza fine delle fiorettiste, il fenomeno del Setterosa della pallanuoto, i successi delle azzurre del volley, la Sensini nella vela e la canoa longeva di Josefa Idem, Tania Cagnotto che si tuffa, fino ad arrivare al fenomeno Pellegrini, regina delle piscine e del gossip.
    L’immagine delle sue ragazze vincenti da un lato ha trainato lo sport italiano anche in momenti in cui lo sport maschile faticava ad imporsi, dall’altro è risultata la fotografia di un Paese pian piano cambiato. La medicina ha dimostrato che alla donna non manca nulla per primeggiare nello sport, nonostante le diversità e proprio in virtù delle sue peculiarità.
    La ricerca di indipendenza e di riscatto, individuale e sociale, il dover lottare contro ingiusti ed atavici pregiudizi, non hanno fatto altro che temprare le loro doti di tenacia, le loro ambizioni, le capacità caratteriali. Del resto, son le donne a partorire. Le pioniere hanno mostrato la strada e quando il ricambio generazionale ha consegnato alla nuova gioventù degli esempi da seguire, tanti fiori sono sbocciati.
    La donna ha sfondato nello sport, senza rinunciare a vezzi e bellezza (in campo con le unghie smaltate, gli occhi truccati, le acconciature ed i costumi più sfiziosi e sexy). Anzi, prolungando oltre la maternità l’età agonistica (dalla Vezzali alla Cainero): l’ultima frontiera del riscatto.
    E mentre le mamme vincono, i papà hanno imparato ad allargare i loro orizzonti. Se l’Italia più arretrata registra ancora gli orrori del femminicidio, è perché il più becero maschilismo non ha saputo adeguarsi ai tempi, alla civiltà e alla vera parità di diritti tra uomo e donna.

sul Corriere dello Sport di domenica 11 agosto 2013

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