SPORT & POLITICA Boicottaggio da boicottare


Lo statunitense Nick Symmonds si è schierato contro la legge riguardante i gay promulgata da Putin


Boicottare i Giochi una scelta bocciata dalla storia

Dopo quasi trent’anni lo sport torna a temere lo spettro del boicottaggio, che è l’antitesi dei valori che rappresenta. La fuga che sostituisce il confronto, il voltare le spalle che rifiuta l’abbraccio. E’ ancora a Mosca, dove scattano i Mondiali di atletica, che sta ardendo la polemica: una scelta politica russa è all’origine del forte dissenso che ha indotto 340.000 persone a inviare al presidente del Cio, Rogge, una petizione per chiedere il boicottaggio dell’Olimpiade invernale di Sochi, il prossimo febbraio.
     Nel 1976 molti Paesi africani boicottarono i Giochi olimpici di Montreal per protesta contro l’atteggiamento troppo morbido del mondo occidentale nei confronti dell’apartheid sudafricano. Più vivo il ricordo del grande boicottaggio in occasione dei Giochi di Mosca 1980. Casus belli l’invasione dell’Afghanistan da parte delle truppe dell’allora Unione Sovietica. Quattro anni dopo fu il blocco comunista a boicottare l’Olimpiade statunitense, Los Angeles 1984. In entrambe le occasioni, disertare le Olimpiadi non risolse i problemi: a pagare furono solo gli atleti, mortificati dalle scelte dei politici.
    Ora l’asilo politico concesso a Snowden e le leggi ambigue e restrittive imposte dalla Russia di Putin in merito all’omosessualità, minacciano di nuovo l’identità, l’autonomia e il ruolo dello sport. Ma almeno stavolta la storia pare aver insegnato qualcosa. Il Comitato Olimpico statunitense ha già pubblicamente respinto la richiesta di una senatrice poco sportiva e non intende boicottare. Nel mondo globalizzato in cui viviamo, il velo dell’ipocrisia è sempre più esile. Gli affari e i rapporti commerciali sono gli interessi primari di governi pronti a voltare gli occhi altrove quando sono in ballo diritti civili e valori umani. Ecco perchè si spera che stavolta la politica lasci lo sport agli sportivi. E al Comitato Olimpico statunitense sia concessa la libertà, parola che ha sempre la sua presa negli Usa, di far gareggiare i suoi atleti. Così il messaggio di dissenso sarà ancor più significativo. Perchè non c’è niente di più efficace del linguaggio dello sport, per avviare pace dove c’è guerra, unione dove c’è discordia.


Sul Corriere dello Sport di sabato 10 agosto 2013


 

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