BEACH VOLLEY Nicolai e Lupo, le stelle azzurre della spiaggia

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La coppia d’oro del beach volley italiano è formata da un romano e un abruzzese. 
Se fossero una band musicale, ma è problematico vederli così considerati i loro gusti diversi al riguardo, si direbbe che Paolo Nicolai, 26 anni il prossimo agosto, di Ortona, è il portavoce del gruppo. 
A Daniele Lupo, detto Lupino, 23 anni, romano cresciuto giocando sulle spiagge di Fregene fin da bambino, insieme col padre e con il nonno, va bene così. Due ragazzi tranquilli che hanno iniziato la loro quarta stagione di coppia con due vittorie nel circuito mondiale del beach volley: la finale, il successo, il gradino più alto del podio, l’inno tricolore che regala sempre emozioni ed uno status inseguito fin dal 2011, quando iniziarono a giocare insieme. 
«Fu Mike Dodd a metterci insieme - racconta Paolo - dovevo giocare con Martino ma non avevamo gli stesso obiettivi, perchè io inseguivo l’Olimpiade. Così arrivò Lupino. Quando Dodd lo vide in campo, disse entusiasta: “Questo ragazzo è nato per il beach!”. E cominciammo a giocare insieme...»
Nicolai viene dalla pallavolo, ma era ancora un ragazzo ben radicato nel suo ambiente e quando gli offrirono di andare all’avventura in un grande club, non se la sentì.
«L’idea di vivere lontano da casa mi pesava. Poi le cose sono cambiate, nel senso che sono cresciuto ed ho deciso di entrare nel progetto pre juniores di Lequaglie. In fondo tra volley e beach la differenza è poca, le basi tecniche sono quelle. Cambia la rincorsa ma direi che all’inizio l’uno è propedeutico all’altro. C’è l’errata convinzione che sulla sabbia la maggior parte dei colpi siano pallonetti, invece la statistica dice che l’80 per cento del colpi sono attacchi di forza»
Il quinto posto all’Olimpiade di Londra gli fece capire di essere sulla strada giusta e nei tornei di Grand Slam, dopo i piazzamenti, dopo i podi, sono arrivate anche due medaglie d’oro. Un’ascesa costante, sotto la guida del ct Paulao.
«Siamo cresciuti mentalmente e tecnicamente. Prima già il fatto di arrivare in semifinale - confessano Paolo e Daniele - ti dava un inconsapevole appagamento, giocavi la finale per vedere se arrivava qualcosa in più. Ora è diverso: sappiamo di poter giocare per la vittoria. Cosa ci ha fatto fare il salto di qualità? Raramente ci è capitato di sommare un errore ad un altro errore. E anche nelle poche occasioni in cui è successo, siamo sempre rimasti attaccati alla partita, tenendo separate la fase cambio palla e la fase break. Sono cresciute le nostre risorse fisiche e tecniche, c’è stato come dicevamo un miglioramento a livello mentale»
L’obiettivo dichiarato è l’Olimpiade di Rio 2016. Mancano due anni, cosa significa oggi dire che vi state preparando per Rio?
«Stiamo facendo un lavoro di costruzione in vista dell’Olimpiade. E lo facciamo tappa dopo tappa. Vincendo quegli appuntamenti che abbiamo vinto noi (l’Open di Funzhou, la tappa del World Tour di Shanghai) si ha uno storico, si seguono le orme di chi è arrivato e ha vinto prima di noi. Ed è un patrimonio importante che serve a far crescere e a mantenere ad alto livello»
Ma il torneo olimpico è ben diverso dal World Tour.
«Sì, è molto più difficile perchè si gioca ogni due giorni e bisogna riuscire a restare concentrati anche nel giorno di pausa, per poi tornare bene in campo»
Entrambi confessano che il valore più importante è il rispetto. Quello che c’è tra di loro e poi quello che danno e pretendono nel circuito del beach. In campo si muovono come due lord, sembrano impermeabili ad ogni emozione, non imprecano, non litigano, non provocano gli avversari.
«La compostezza ce l’ha insegnata Mike Dodd (l’ex campione statunitense che è stato ct azzurro per una stagione, ndr), vi ispiriamo a Roger e Dalhauser. Siamo in buoni rapporti con tutti e tutti ci rispettano, ora non ci vedono più come i giovani»
Il vostro rispettivo colpo prediletto?
 «La diagonale forte» risponde di getto Nicolai. «Il crossover» gli fa eco Lupo. 
La cosa che odiano di più? «La mancanza di rispetto, è inaccettabile» dice Lupino. «Il pressappochismo» spara Paolo, orgoglioso di essere un prodotto vincente del settore giovanile federale.
«Noi siamo la prima generazione che ha fatto il settore giovanile. E’ un progetto valido e dà frutti evidenti. Non bisogna smettere, serve continuità, ci vogliono tanti collegiali perchè solo giocando e giocando ci si appassiona a questo sport meraviglioso». 
Quando sono in giro per il mondo, Daniele Lupo e Paolo Nicolai passano la maggior parte del tempo in camera, leggendo, ascoltando musica, guardando film. Evitando accuratamente di disturbarsi a vicenda. Ognuno ha i suoi spazi, nel massimo rispetto. Daniele è sempre connesso, tramite l’inseparabile iPhone in cui si specchia la sua mite gioventù. Paolo è interista («Ma più tiepido finchè c’è Mazzarri: quando perdiamo è sempre colpa di qualcun altro...»), Daniele da ragazzo ha giocato, attaccante, al Centro Calcio di Fidene. E’ romanista e venera Totti. Nel tennis Djokovic e Federer sono i loro punti di riferimento.
 In comune hanno l’avversione per i viaggi. «Viaggiare ci annoia, non è paura di volare, è proprio il fastidio di passare tante ore in quel modo»
Per entrambi il beach è assai più di uno sport o di un lavoro.
 «Ho iniziato a giocare da bambino - racconta Daniele - accanite partite sulla spiaggia insieme con mio padre e mio nonno. Stavo sulla sabbia dalla mattina alla sera, mi sono sempre divertito tanto». Il papà Carlo, architetto e attore protagonista una tantum (“L’ultimo sapore dell’aria”, Ruggero Deodato, 1978), e la mamma kazaka Goulsim, che ha fatto l’attrice, si incontrarono e si piacquero a Milano.

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