ATLETICA Calcaterra: «Una vita di corsa nella mia Roma Capoccia»

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 A volte i miti hanno il cuore semplice, guardano e si fanno guardare con gli occhi della semplicità, non volano tre metri sopra il cielo ma camminano, anzi corrono, terra terra, verrebbe da dire giocando sul nome di Giorgio Calcaterra, per chi crede al destino del nome.
Enrico Castrucci, il presidente del Comitato Organizzatore della Maratona di Roma, non ha usato mezzi termini per definirlo.
 «E’ il più grande campione romano del podismo. E sapete perchè è un mito? Perchè è genuino, trasparente. E’ campione ma non ha dimenticato la base, il suo calore, la sua passione per la corsa hanno una valenza culturale. Ed è un paladino della lotta al doping. Ha deciso di tentare questo progetto di correre due maratone una dietro l’altra e noi siamo con lui. Aiutarlo a completare anche la seconda corsa, con le strade capitoline nel frattempo riaperte al traffico è una grande sfida per le nostre capacità organizzative»
Giorgio Calcaterra è romano de’ Roma, nato a Trastevere, nel cuore della cultura cittadina.
«Papà romano, nonno romano. Mi sento romano in tutto e per tutto. Sono nato a Trastevere e vivo a Monteverde, vicino a Villa Pamphilj. E guidando per anni il taxi questa città me la sono girata tutta»
Quando gli si deve dare un’etichetta è quasi d’obbligo ricorrere al titolo di un celebre album di Bruce Springsteen, “Born to run”, nato per correre.
«Sì, ma il suo era un altro correre. A me piace la corsa, è il mio sport preferito, anzi il gioco che amo di più. E sapete cosa vi dico? La corsa rende migliori le persone. Quindi potrei dire che corro per essere un uomo migliore»
A proposito di musica e canzoni, le piace la canzone romana? Ce n’è una in particolare che non ha dimenticato?
«La canzone che forse ho amato di più è stata “Roma Capoccia” di Antonello Venditti: “Vedo la maestà der Colosseo, vedo la santità der Cuppolone...”E poi mi è sempre piaciuto molto Lando Fiorini, tutte le sue canzoni più famose. Io abitavo a Trastevere, dove c’era il Puff, me lo fece scoprire mio padre»
Col suo taxi e a piedi ha imparato a conoscere ogni strada, ogni scorcio della città. Quale è il suo posto prediletto di Roma?
«Il Colosseo, senza dubbio»
Qualche anno fa si era bloccato per via di un’ernia del disco. Le ore passate sul suo taxi per le strade sconnesse della Capitale, tra buche e sampietrini, avevano intaccato la sua integrità fisica.
«Avevo temuto il peggio. Fissai perfino la data dell’operazione, comprai una cinta per sostenermi, prendevo antinfiammatori. Lì per lì stavo meglio, ma poi il dolore tornava, allora ho cominciato a guidare meno e a correre di più, ho addirittura fatto due maratone, non dico che il dolore era sparito ma sono stato meglio. Ho disdetto l’operazione, non ho più preso gli antinfiammatori e ho cominciato a pensare che forse sono nato per correre. Magari sembrerà assurdo, ma in quella fase correre fu l’unica cosa che mi faceva star bene. Insomma, altro che nuoto e ginnastica posturale: io per stare bene devo correre»
Ora si è preso una pausa dalla sua attività di tassista, ha dato in gestione la licenza per un anno, dedicandosi solo alla corsa. Giorgio, come nasce questa idea delle due maratone consecutive?
«Il messaggio che vorrei dare è che tutti possono correre la maratona. Spero di chiudere la maratona ufficiale tra i primi venti o trenta, tra le 2 ore e mezza e le 2 ore e 40 e poi se starò bene, dopo cinque, dieci minuti di pausa, il cambio di maglietta e uno spuntino, ripartirò per accodarmi agli ultimi gruppetti, incoraggiarli, incitarli. E poi arrivare con loro al traguardo, anche se correre a ritmi lenti può creare problemi. Questo progetto un po’ è preparato ma sarà anche molto improvvisato, non faccio programmi troppo precisi, dipenderà dalle situazioni del momento. Troppa gente critica chi corre...piano. Io non sono d’accordo: anche quella è corsa. E con questa mia idea voglio dimostrarlo praticamente. Se io riesco a correre due maratone consecutive vuol dire che chiunque, munito di certificato medico, può finirne una»
Difficile anche ipotizzare una tattica di..doppia corsa.
«Nelle 100 chilometri parto piano, ma dovrò cambiare tattica perchè la prima maratona la farò normalmente»
A tavola come ci si prepara ad una faticaccia del genere?
«La sera prima molti carboidrati, anche mezzo chilo di pasta, due piattoni in bianco, olio e parmigiano come piace a me. Poi la mattina a colazione tè e fette biscottate con marmellata. Non si può mangiare troppo prima della gara»
Di corsa per le vie di Roma, la prima volta nel 1982, anno della primissima Maratona di Roma.
«Avevo 10 anni, feci la non competitiva e quel giorno nacque il mio amore per la corsa. Mio padre mi vide felice e contento, come non succedeva quando finivo calcio o nuoto. Non mi vollero far correre da ragazzo la maratona perchè sostenevano facesse male e io appena compiuti i 18 anni la feci subito, per puntiglio. Alla fine ero stremato, mi andai a cambiare in macchina e...mi addormentai. Mi sveglio papà, bussando al finestrino»
Ha qualche rimpianto per non aver provato ad essere un maratoneta da Olimpiadi o Mondiali?
«Forse un piccolo rammarico c’è. Avrei dovuto lasciare il taxi e dedicarmi solo alla corsa...Ma sono contento anche di quello che ho fatto»
L’uomo tranquillo sale di tono quando si parla di doping.
«Un dopato resta un dopato per sempre. Ci vorrebbe maggior severità perchè doparsi è un reato che dovrebbe portare in prigione. Io corro da 33 anni allenandomi due volte al giorno: il mio doping è la passione per la corsa. Uno sportivo dovrebbe essere leale. E non si può nemmeno più dire che uno è pulito solo perchè non viene trovato positivo all’antidoping: ricordiamo cosa è successo con Armstrong...»


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