VOLLEY Pasquale Di Santillo ricorda Adelio Pistelli

Ospito volentieri il ricordo di Adelio Pistelli scritto dall'amico Pasquale Di Santillo. Idealmente l'occasione per chiudere il triangolo pallavolistico targato Corriere dello Sport-Stadio, la squadra giornalistica che ha visto Adelio protagonista per tanti anni, con orgoglio, fierezza e senso di appartenenza totale. Era giusto che il terzetto del Corsport fosse ancora una volta unito.

Scrivere di Adelio con il pensiero che se ne sia andato da un’altra parte, lontano dal suo unico reale interesse - famiglia a parte - cioè la pallavolo, è una cosa difficile, anche solo da concepire. E mi resta davvero difficile aggiungere qualcosa dopo il bellissimo ricordo fatto su questo blog dal padrone di casa, l’amico Leandro, che ringrazio per l’ospitalità. Però un tentativo volevo, dovevo farlo. Per provare a far conoscere Ade il più possibile, anche a chi lo conosceva solo superficialmente come giornalista e uomo, con pregi e difetti, come tutti noi.
Si dice sempre quando ci si ritrova in questo maledetto rito della consolazione, che “ha finito di soffrire”. Giusto, vero, ma qualcuno poi un giorno dovrà spiegare perché deve sempre toccare a persone come Adelio di soffrire al posto, che ne so, di una di quelle brutte persone che girano per il mondo. 
Per Ade ero il “fratellone”, come gli piaceva chiamarmi e come penso chiamasse tutte le persone cui era legato da questo vincolo di familiarità, dal legame quasi di sangue di noi che siamo cresciuti a pane e schiacciate. Una sorta di community come dicono oggi praticamente settaria dove lui, Ade, era una sorta di Gran maestro per quante ne aveva viste, conosciute e scritte, dall’inizio dei tempi, quando ancora la pallavolo era uno sport di nicchia, riservato ad una ristretta elitè perché ovviamente ancora non aveva cominciato a vincere.
Uno sport che lui ha amato dal primo all’ultimo giorno, fino alla fine e per questa sua passione senza confini non potevi che ammirarlo e rispettarlo, perché nella vita senza passioni siamo nulla e Ade era una passione in movimento, sempre e comunque. 
Quando Leandro era di riposo, io arrivavo al giornale e sapevo che la prima telefonata di giornata non era mio figlio, la mia compagna. Macché, era lui, Ade con il menù del giorno della pallavolo spesso rispedito al mittente senza nemmeno una pietanza da cuocere, tra un mugugno e un accidenti in marchigiano stretto. Eppure, bastava una notizia, meglio due, per fargli tornare la voce, un abbozzo di sorriso via cavo. Perché quello gli era sufficiente per rimettersi in moto, sentire che la sua giornata aveva un senso. Figuriamoci quando c’era da scrivere un pezzo: l’uomo più felice del mondo e ti richiamava anche dieci volte per sapere se era arrivato, se andava bene, se poteva aggiungere o togliere questo o quel nome. Uno sketch che nella stagione di mercato era una regola quotidiana, prima e dopo i pasti, per gli aggiornamenti in real time.
Già, a lui i new media, twitter, Facebook istagram, gli facevano un baffo, in tutti i sensi: la notizia lui ce l’aveva sempre e la dava prima di tutti, solitamente. Perché viveva per la notizia. E quando mi capitava di gestire il settore degli sport Vari la telefonata era solo anticipata di qualche ora, sempre primo arrivava
Poi però c’erano i periodi down, coincidenti solitamente con le accese discussioni che gli capitava di avere con Leandro. E allora le telefonate arrivavano di buon mattino, a tutte le ore, per capire, per sfogarsi per trovare una strada per riallacciare il discorso e trovare la maniera per dire la sua sul giornale, impresa tutt’altro che semplice. E io lì a cercare di ricucire, a trovare la mediazione giusta: insomma, mi sentivo una sorta di “telefono amico”, di psicologo da due soldi. Però ci provavo in tutte le maniera, perché la sua passione, il suo impegno, si meritavano tutto.
Era un’integralista delle schiacciate, Ade, ma ci vedeva lontano e quasi sempre bene. Sul mercato difficilmente prendeva buchi o toppava trattative e dal punto di vista tecnico le indovinava tutte. Diciamolo chiaramente, ci capiva come pochi di pallavolo. Il suo integralismo lo riservava anche alle persone, che fossero arbitri, giocatori, allenatori. Ed era a doppio senso. Nel bene e nel male. Se lo convincevi stava con te per sempre, altrimenti….era dura togliergli dalla testa che dovevi cambiare mestiere.
Ogni tanto si impuntava, come tutti gli integralisti, ma in fondo chi non lo è nelle proprie convinzioni? E’ vero, a volte esagerava nella sua determinazione a dimostrare di avere comunque ragione, ma la perfezione andate a cercarla da qualche altra parte.
Ci sarebbero mille aneddoti da raccontare, tutti bellissimi, tutti da sbellicarsi. Ne ho scelto uno su tutti. Eravamo nell’est, Polonia, Katowice, per la precisione, a seguire l’amata Nazionale maschile. La sera dopo una delle tante partite eravamo finiti in un ristorante sperduto della pianura polacca, si era a tavola in allegria in mezzo ad un bel po’ di persone, tra cui un gruppo di ragazze di non mi ricordo bene quale provenienza. E allora decidemmo di fargli uno scherzo. Uno ad uno ci sfilammo fino a lasciarlo solo a chiacchierare in mezzo alle ragazze per poi sparire tutti insieme con le macchine in dotazione. Avrebbe trovato la maniera di tornare con qualcuno. Telefonini rigorosamente spenti fino alla mattina successiva, quando ci si ritrovò a colazione. Noi a trattenerci dalle risate, lui con gli occhi spiritati, i capelli dritti fortemente tentato da tirarci qualche tazzina piena di caffè ma incapace di trattenere quel sorriso da padre affettuoso che deve bacchettare i suoi allievi irrispettosi: “bastardi” sibilò prima di scoppiare a ridere.
Ecco, adesso che qualcuno se l’è portato via, com’è già successo con un altro di noi, come Robertino Stracca, voglio ricordarmelo così, Ade. Riposa in pace “fratellone”, tanto prima o poi (speriamo poi) ci si rivede

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