VOLLEY Andrea Scozzese, il ricordo di Pasquale Di Santillo

 di Pasquale Di Santillo
Ha ragione Giovanni Malagò, Andrea correva veloce. Sempre. Con tutto, ma prima di ogni cosa con la testa. E solo chi ha quel motorino sempre acceso nel cranio sa bene cosa significhi. Sembra sempre ti manchi qualcosa, non ti accontenti, cerchi strade, soluzioni, idee e sfide nuove da avviare, costruire, magari quando hai già avuto tutto nella vita, nello sport, nel lavoro.
Altrimenti è difficile spiegare come in otto anni Andrea, Scozzese di cognome e di tenacia e determinazione, sia riuscito insieme al suo inseparabile amico e socio Armando Monini, a costruire una delle realtà giovanili più importanti d’Italia a livello femminile a Roma, non nella perfetta Lombardia che già reclama con inaccettabile opportunismo, il suo antico primato. Una realtà, quella di Volleyrò ormai pronta per il grande salto nel vertice, l’unica decisione che Andrea avrebbe preso lentamente, solo quando fosse stato sicuro di avere una base solidissima.
Me lo ricordo perfettamente Andrea, la prima volta che me lo presentarono. Eravamo seduti vicini vicini nel parterre di un poco spettacolare M.Roma-Lube Macerata che solo a pensarci mi mette ancora più tristezza. Finisce un set, tanto (per la Lube) a poco (per Roma) e Luciano Cecchi, sempre lui, si avvicina e mi indica questo signore distinto dall’aria simpatica, pullover blu, camicia bianca, e jeans: «Guarda Pasquà - dice Big Luciano - te lo metto vicino perché lui diventerà un grande dirigente di pallavolo…». Presentazioni, convenevoli e comincia il secondo set. Giocano il primo pallone, Andrea mi prende il braccio e mi chiede: «Scusa Pasquale, ma perché hanno fischiato fallo in battuta?». E in quel momento mi viene il dubbio che Luciano mi abbia mollato nelle mani di un rompiscatole. Invece no. Quella fu la prima di mille domande che Andrea mi rivolse in tante altre partite vissute gomito a gomito. Perché Andrea sapeva molte cose ma otto anni fa di pallavolo ne masticava davvero poco e qualcosa mi prendo l’onore di averglielo trasmesso.
Però andava veloce, imparava in fretta Andrea e mentre continuava a guardare partite e incasellare nozioni cresceva in lui, un Pensiero Meraviglioso, quello che in fondo nessuno è mai riuscito a realizzare - in realtà neanche a pensare - a queste latitudini romane. Costruire  da zero o praticamente da zero, una società fondata sulle giovani, che fosse ramificata e radicata sul territorio (che per lui non era solo il Lazio ma tutta Italia) e che nel tempo fosse capace, trovate le giuste certezze economiche, di far tornare a buoni livelli il nome di Roma nel massimo campionato femminile. In quel periodo Andrea mi chiamava una mattina sì e una no, sempre mentre facevo sport in palestra o sul campo da tennis. Chiedeva consigli, idee, opinioni su persone e scelte, sulla maniera di veicolare notizie e immagine del suo Pensiero Meraviglioso. Insieme con Big Luciano spingemmo tra le sue braccia la mia amica di sempre, Laura Bruschini, la persona giusta nel posto giusto, la prima pietra per costruire il Sogno Meraviglioso e trasformarlo in realtà. Dopo otto anni, ma ne ero sicuro anche allora, si può dire missione compiuta.
Mancava un dettaglio, però. Lo scopriì molto presto. Una mattina di primavera Andrea mi convocò d’urgenza al Canottieri Aniene e ad Andrea non si poteva dire di no. Così arrivai puntuale all’appuntamento e lo trovai entusiasta e felice con la sua cartelletta: voleva farmi vedere il logo del suo gioiello, il Volleyrò. Aveva fatto fare una serie di studi grafici. E mi chiese un giudizio, perché Andrea sapeva anche ascoltare e cambiare idea: «Dovessi decidere tu - mi disse - quale sceglieresti?». E penso di averlo reso intimamente felice indicandogli il logo che in cuor suo già vedeva lanciato nell’empireo del volley nazionale.
Negli ultimi tempi il nostro rapporto si era un po’ allentato per colpa soprattutto mia, deviato professionalmente dalla mia passione primordiale. Questo non mi ha impedito di seguire costantemente il lavoro e i risultati della passione di Andrea, che ormai aveva imparato tutto quello che gli serviva per procedere da solo. 
L’ultima volta l’avevo salutato e abbracciato al Corriere dello Sport dove era venuto con Monini in occasione del Mondiale femminile. Era sicuro che in tempi brevi ci saremmo rivisti per festeggiare altre soddisfazioni, per completare quel Sogno Meraviglioso ormai sul punto di realizzarsi completamente. 
Invece Andrea ora non c’è più, fedele alla sua natura di velocista in tutto. E l’unico modo per ricordarlo degnamente, per fare in modo che la sua passione e il suo (sfortunato) sacrificio  abbiano davvero un senso, è quello di portare avanti il suo Sogno Meraviglioso e renderlo possibile, probabile, certo. Ognuno per la sua parte, contro tutto e tutti, come sempre. 

Per la famiglia non ci sono parole che aiutino a superare il dolore, per la pallavolo c’è solo la determinazione ad andare avanti. Per Andrea il rimpianto di una vita interrotta troppo presto e la speranza che ora ovunque sia potrà trovare pace alla velocità della sua testa.

Volleyrò 4ever


p.s.: Per la seconda volta in poche settimane sono stato costretto a chiedere “asilo” all’amico Leandro per scrivere il ricordo di una persona cara. Giuro, Leo: il prossimo post che ti scrivo sarà satirico, vedrai

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