VOLLEY Da Lucchetta a Zaytsev, al Maracanazinho 26 anni dopo


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Italia-Brasile al Maracanazinho per l'oro olimpico, 26 anni dopo quel Mondiale che cambiò la storia della pallavolo italiana. Dal calcio alla pallavolo, non c'è finale più bella e classica, perchè come amava ripetere Bebeto, che è stato sulla panchina di entrambe le nazionali, "italiani e brasiliani sono farina dello stesso sacco. Il calcio è una religione, il volley il primo sport". 
Sul piano dei sentimenti, dagli eroi di Rio 1990 (lo diceva sempre il compianto Corrado Sannucci, collega colto e musicista con solide radici di cultura sportiva) ai nuovi eroi di Rio 2016 c'è tutto un mondo, anzi una vita, che è scivolata via troppo in fretta. Quella era una pallavolo appena esplosa, che in breve tempo assunse una dimensione fino ad allora sconosciuta, sotto l'impulso anche dialettico e culturale di Julio Velasco e grazie alla serissima applicazione di un gruppo di giovani che seppe diventare fenomenale non per diritto divino ma grazie al lavoro e a tante altre cose.
Quelle notti di Rio videro pian piano la pallavolo italiana uscire dal guscio, divenire fenomeno di moda e di cultura sportiva, conquistando spazi mai avuti sui media, imponendosi a suon di audience e share sulle televisioni che credettero in quell'Italia nuova, coraggiosa e affamata di gloria. Quelle notti di Rio videro anche tante altre cose che ognuno ha portato con sè nel resto della vita. Con qualità e peculiarità di ognuno, anche fuori dal campo era nata una squadra eterogenea di addetti ai lavori che faceva gruppo pure nei momenti senza volley ma pieni di tante altre emozioni, condivise tra giovani e meno giovani, tra allenatori non ancora sedotti dal potere e prigionieri del culto della personalità, capaci di simpatia e umanità, tra pianoforte e citazioni cinematografiche, discoteche, emozioni, giacche bianche e goliardia. Il vecchio si univa al nuovo, due mondi si fondevano in qualche modo e nessuno sarebbe stato più lo stesso.
Ventisei anni dopo, l'Olimpiade di Rio è una fine e un inizio. Il ricambio generazionale si è completato e quasi ogni età del volley azzurro, ora si può dire, ha avuto la sua chance olimpica. Zaytsev è il profeta e l'uomo copertina di questa squadra capace, facendo gruppo nel senso migliore e completo del termine, ha saputo andare oltre i suoi limiti individuali. Esaltandosi nelle difficoltà e senza lasciarsi abbattere quando tutto sembrava perduto, nella semifinale con gli Stati Uniti.
Si sa che non è indispensabile volersi bene e andare d'accordo per raggiungere risultati nello sprot di squadra. Però in qualche caso aiuta. In altri è la condizione indispensabile. Lo ha dimostrato questa Nazionale di bravi ragazzi, innamorati della pallavolo e delle loro donne. Nel '90 il web era cosa sconosciuta, ora anche grazie ai social gli atleti sono diventati "amici" per molti. 
Il pubblico che vuole seguire, sa tutto di tutti, conosce pensieri e volti. Viene ammesso nel cerchio magico di chi ama il volley, richiamato da foto di gruppo, scatti spensierati, brindisi a tavola. Ed è una fortuna, nel momento in cui la maggior parte dei giornali ha smesso di dare al volley quanto meriterebbe.
Ecco un'altra differenza: nei giorni di quel Mondiale si andava formando una generazione di scrittori e conoscitori del volley e delle sue vicende. I veterani tramandavano con la gioia delle condivisione. Dopo 26 anni è rimasto quasi nulla perchè la qualità non è più un valore, un requisito necessario. Così, molto spesso a raccontare la nazionale sono persone che nè conoscono, nè capiscono cosa stanno vedendo. E non tutti riescono a non farlo capire a chi legge.
Insomma, non è questa la sede, nè il momento, di richiedersi perchè la pallavolo ha dissipato la dote mediatica che i tre mondiali e le cinque medaglie olimpiche messe sotto vetro le avevano regalato. Ma questo di Rio 2016 dovrebbe essere un nuovo inizio. Il condizionale è d'obbligo perchè dubito fortemente che cambi qualcosa: è cambiato, in peggio, il contesto esterno. Non è cambiato il contesto interno.
Tornando al Maracanazinho, è curioso e significativo come questa storica culla del volley brasiliano e dunque mondiale, rappresenti una sorta di talismano per la nostra pallavolo che in Brasile ha scritto pagine memorabili. Quell'oro mondiale strappato ai campioni di Cuba che avevano il fuoriclasse Joel Despaigne, arrivò dopo una semifinale mozzafiato con il Brasile, chiusa da una veloce di Andrea Lucchetta, che domani commenterà la finale olimpica insieme con Alessandro Antinelli sui canali della Rai.
Lo ricordano solo i veterani del volley, ma ci fu un'altra Italia capace di ammutolire il Maracanazinho, finale World League 1995, con una squadra di giovani in cui c'era anche l'indimenticato Vigor Bovolenta. I nuovi azzurri sconfissero il Brasile, gridando forte a tutti che la Generazione di Fenomeni aveva eredi.
Questa di Chicco Blengini, giustamente fiero di essere cresciuto insieme con Julio Velasco, è un'Italia diversa ma compatta. Una squadra uscita da travagli profondi che avrebbero potuto distruggerla, solo un anno fa. Giocatori esperti nella fase conclusiva della carriera e giovani rampanti, uniti dal collante di chi è nel pieno della maturità. Ivan Zaytsev e Osmany Juantorena abbracciati stretti, fieri di inseguire i loro sogni con la stessa maglia azzurra che entrambi sentono ora come una seconda pelle. 
Tutta la banda orchestrata da un ragazzo di 20 anni, Simone Giannelli, che ha bruciato le tappe in fretta, raccogliendo l'eredità pesante dei Tofoli, dei Meoni e dei Vermiglio, calzandola come se fosse piuma leggera. 
E' l'Italia che va, l'Italia che non vuole arrendersi mai, l'Italia migliore che può essere un esempio ma che non ha nulla in comune con la politica, che cavalca spudoratamente in fretta i suoi successi. Perchè indipendentemente da come andrà la finale, questa Italia ha già vinto la sua battaglia. Conoscerli è amarli. Non a caso anche il presidente del Coni, Giovanni Malagò, aveva formulato un pensiero speciale per loro, riferendosi alle eventuali finali olimpiche di Rio.  

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